Trib. Milano, 22 ottobre 2005
Fascicolo 79808/04 attore zarfin srl con avv. Panzarini Convenuto grandi magazzini e supermercati il gigante con avv. Colombo Giovanni Emanuele Sentenza n. 11407/2005 depositata il 22.10.2005 Le società Zarfin s.r.l. e Cornice s.r.l., con atto di citazione notificato il 23.11.2004 hanno convenuto in giudizio, in qualità di soci, la Grandi Magazzini e Supermercati Il Gigante s.p.a. ( Il Gigante), chiedendo fosse dichiarata la nullità ovvero fossero annullate le delibere assembleari assunte il 27.8.2004 con le quali la società convenuta aveva approvato il bilancio d’esercizio chiuso al 29.2.2004, e deliberato di destinare a dividendo la quota di soli euro 4.050.000 del maggior utile indicato in euro 29.859.758,80. A fondamento della loro domanda le attrici hanno sostenuto: a) che il bilancio non era stato redatto in modo corretto anche ai fini dell’informazione quanto ai rapporti tra Il Gigante e le società controllate, poiché risultavano iscritte come “crediti” somme corrispondenti a finanziamenti effettuati in favore di alcune controllate, che, ad avviso delle attrici, avrebbero dovuto essere iscritte ad incremento della voce “partecipazioni”, non potendosi considerare “prestiti”, bensì “versamenti in conto capitale”; b) che la delibera di distribuzione dei dividendi sarebbe stata assunta con eccesso o abuso di potere della maggioranza, che avrebbe, senza alcuna giustificazione, destinato a riserva straordinaria oltre il 50% dell’utile d’esercizio, proseguendo in una politica già in atto da anni volta a realizzare eccessivi accantonamenti al solo scopo di non remunerare il capitale conferito dai soci di minoranza. La convenuta si è costituita nel termine di 60 giorni concesso da controparte, contestando il fondamento delle predette doglianze, e sostenendo che le impugnative oggetto del presente giudizio, come quelle precedenti e successive, erano motivate dal solo intento del maggior gruppo concorrente – Gruppo Supermarkets Italiani - al quale le società attrici appartengono, di creare difficoltà alla maggioritaria compagine sociale, non essendo riuscite a raggiungere che il 25% della “società bersaglio”. Nel merito delle censure mosse al bilancio, ha precisato che: l’iscrizione delle poste contestate, che asseriva doversi considerare versate alle controllate a titolo di “mutuo” e non di “apporto di capitale”, era stata esaurientemente spiegata nella nota integrativa; che la politica gestionale di reinvestimento degli utili aveva consentito alla società di incrementare il patrimonio anche nell’interesse degli azionisti di minoranza; a dimostrazione della pretestuosità dell’ accusa mossa dalle due socie di minoranza al Gigante, ossia quella di voler comprimere il diritto dell’azionista alla remunerazione periodica del capitale ha evidenziato che dal 28.2.1998 al 29.2.2004 il patrimonio netto si è incrementato del 116% , quindi è piú che raddoppiato, mentre il dividendo si è incrementato del 384% dunque in misura maggiore rispetto all’incremento del patrimonio netto Dopo la replica delle attrici e la controreplica della convenuta, le prime hanno depositato il 1.6.2005 istanza di fissazione udienza, cui è seguita la nota di precisazione delle conclusioni della convenuta. All’esito della discussione orale della causa all’udienza del 29.9.2005, il Tribunale riservava la pronuncia della sentenza ai sensi dell’art. 16 comma 5° d.lgs. n. 5 /2003. La presente controversia, come le precedenti promosse dalle attrici contro la società Il Gigante, riguarda la delibera di approvazione del bilancio e di distribuzione dei dividendi; ciò nonostante, ritiene il Collegio che nella specie non sussistano ragioni per ordinare, in conformità ad un orientamento già seguito dal Tribunale in materia di impugnativa di bilanci di piú esercizi consecutivi, la sospensione del giudizio, per la quale nessuna delle parti ha peraltro dichiarato avere interesse: certamente manca in questo caso il requisito di pregiudizialità della statuizione quanto all’impugnativa della delibera di distribuzione degli utili; ed altrettanto deve dirsi per l’impugnativa che concerne la correttezza dell’iscrizione dei finanziamenti concessi alla controllate nella voce “crediti” anziché nella voce “partecipazioni”. Infatti, da un lato, come rilevato dalla convenuta, poiché entrambe le voci rientrano nella classe delle immobilizzazioni finanziarie, l’eventuale accoglimento della censura attorea nei giudizi pendenti in Appello, non comporterebbe modifica del valore complessivo delle immobilizzazioni, dunque non produrrebbe riflessi sulla determinazione dell’attivo o del passivo dei bilanci successivamente approvati; dall’altro, in considerazione della non estensibilità dell’ambito del giudizio oltre quanto risulta dalla domanda in relazione allo specifico interesse che la qualifica ( nella specie nullità del bilancio impugnato), e del disposto dell’art.2434 bis c.c., l’eventuale invalidità del bilancio in questione si tradurrebbe nella necessità degli amministratori di “tenerne conto” nella redazione del bilancio successivo, senza tradursi di per sé con effetto reale sul bilancio successivo. Venendo a considerare i motivi d’impugnazione del bilancio al 29.2.2004, si osserva che certamente la difesa delle attrici ha offerto interessanti argomenti di riflessione, collegati al fenomeno della sottocapitalizzazione o al principio di buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto sociale, tutt’altro che sintomatici di una volontà di coltivare sterili operazioni di disturbo della maggioranza che governa la capogruppo Il Gigante. Ciò nonostante, anche in questo caso, il Collegio non ritiene di discostarsi dall’ orientamento del Tribunale, già espressosi con tre sentenze, la prima delle quali (n.10016/2002) già confermata dalla Corte d’Appello di Milano. A) L’illegittima appostazione della voce III, 2a dell’attivo dello stato patrimoniale denominata “crediti verso controllate”. Con il primo motivo di impugnazione le attrici censurano, l’appostazione nella voce “crediti verso controllate” di quelli che esse ritengono mutui gratuiti, a tempo indeterminato, privi di garanzia, che costituirebbero in realtà, “apporti atipici di patrimonio”, da iscriversi alla voce “partecipazioni”. Ritengono che detta qualificazione a maggior ragione sarebbe imposta alla luce della norma di cui all’art 2467 c.c., richiamta dall’art. 2497 quinquies c.c., introdotta con la riforma e relativa ai finanziamenti dei soci alla società. Ebbene il Tribunale non ignora le problematiche inerenti la sottocapitalizzazione delle società, e l’emersione nella prassi societaria di versamenti sotto varie forme e titoli, non sempre agevolmente riconducibili entro la disciplina della postergazione introdotta con l’art. 2467 c.c., che intende in effetti frustrare l’eventuale intento elusivo di coloro che celano sottoforma di crediti apporti di capitale di rischio; tuttavia ritiene che, nella specie, non si possa censurare in alcun modo l’appostazione contabile contestata, sia per la rispondenza sostanziale e in concreto dei versamenti in questione alla causa propria del mutuo, sia per l’esplicita qualificazione che di detti versamenti è data nella relazione sulla gestione e in nota integrativa ( cfr doc. n. 3 att.), qualificazione e descrizione che, alla luce della disciplina della postergazione di cui all’art. 2497 quinquies e 2467 c.c., non appare idonea ad eludere né l’obbligo dell’informazione corretta e completa, né il maggior rischio connesso ad un eventuale conferimento, atteso che di questo i finanziamenti in questione condividerebbero la disciplina, perlomeno in relazione alla priorità del rimborso dei terzi creditori Del resto la stessa convenuta ritiene ( cfr. pag 21 della conclusionale ) che detti finanziamenti sarebbero soggetti, in una del tutto ipotetica crisi delle imprese controllate, a detta disciplina, sicchè nella specie non pare avere alcun rilievo il problema della sottocapitalizzazione . Peraltro che Il Gigante perseguisse un intento elusivo appare difficilmente sostenibile anche alla luce della disciplina ante riforma, nel vigore della quale questa strategia gestionale era già perseguita, poiché, quale socio unico in forma di società di capitali, Il Gigante non godeva di responsabilità limitata, sicchè qualora la controllata non avesse pagato i propri debiti, la capogruppo sarebbe stata comunque chiamata a risponderne, senza potersi in alcun modo giovare dell’aver scelto di finanziare la controllata ricorrendo al credito, anziché all’apporto di capitale. In ogni caso va ribadito che il Collegio non può certo censurare, in virtú di valutazioni diverse da quelle di legittimità, il merito delle scelte gestionali del gruppo di maggioranza che governa una holding, il quale abbia scelto, come nella specie, di finanziare le società controllate senza ricorrere al credito bancario, quando ciò realizzi senza danno dei terzi creditori ( in situazioni critiche quali la liquidazione o l’insolvenza) stante il meccanismo della postergazione dei finanziamenti dei soci, e senza creare false apparenze nella situazione patrimoniale. Né la disciplina introdotta con la recente riforma può considerarsi fonte di per sé di un “obbligo di corretto finanziamento”, come sostenuto dalle attrici ( pag. 31 della conclusionale), potendosi dalla stessa trarre solo una disciplina degli apporti e versamenti a vario titolo effettuati in favore di una società dai soci, ispirata dall’esigenza di contrastare il trasferimento sui terzi ( creditori ) del rischio d’impresa, ed incentrata sulla equiparazione tra finanziamenti e conferimenti a determinate condizioni, senza con ciò tuttavia impedire o scoraggiare, in generale, il credito dei soci verso la società che si trovi in uno stato di bisogno, e che difficilmente , o a troppo caro prezzo, potrebbe ricorrere al credito esterno. Tantomeno gli artt. 2467 e 2497 quinquies c.c. “imporrebbero” di qualificare come “conferimenti di capitale ” i finanziamenti in questione, poiché, anzi, la previsione di dette norme e la loro applicabilità presuppone proprio che la fattispecie concreta riguardi “prestiti”, atteso che, per postergare il rimborso di “versamenti in conto capitale”, non vi sarebbe alcun bisogno di una specifica disciplina, essendo la postergazione conseguenza necessaria della natura del versamento stesso. Quanto, poi al fatto che non potrebbe ravvisarsi nei finanziamenti in questione la causa del mutuo, va rilevato che, come il Tribunale ha già esposto in precedenti pronunce, gli argomenti delle attrici non possono essere condivisi: i versamenti effettuati dal Gigante in favore delle controllate ( Giovanni Villa, Prezzo Club, Porta della Brianza, e Sangrato ), a dire delle attrici non potrebbero essere inquadrati nella fattispecie normativa del mutuo ( e di conseguenza essere considerati dal punto di visto dello stato patrimoniale dei “crediti” ), poiché concessi a titolo gratuito, senza scadenza, senza garanzie e previsione di una posta di fondo rischi Le articolate difese della convenuta e la documentazione prodotta in effetti comprovano che le parti hanno in effetti voluto e realizzato l’ erogazione di somme a titolo di mutuo, per quanto non oneroso, con obbligo, quindi delle beneficiarie di restituire quanto ricevuto. Ed infatti, rilevato che “anche il mutuo può ben essere gratuito, se non è previsto un termine la restituzione può essere richiesta con un anticipo fissato eventualmente dal giudice, le garanzie sono superflue in un situazione di totale controllo e di conseguente corresponsabilità verso terzi”(cfr. Tribunale Milano tra le stesse parti ), e che quindi nessuno degli indici evidenziati dalle attrici nella concreta fattispecie negoziale appare incompatibile con la disciplina normativa del mutuo, chiari elementi di interpretazione della fattispecie concreta sono offerti : a) dalla relazione sulla gestione dell’esercizio in esame, in cui la società chiarisce, ribadendolo anche nella nota integrativa, che “ sono in essere finanziamenti non onerosi a favore di società interamente possedute che si trovano ancora nella fase di avvio della propria attività”…” la messa a reddito del relativo patrimonio immobiliare permette il progressivo rimborso di detti finanziamenti alla controllante, successivamente eventuali altri fabbisogni vengono finanziati dalla controllante a titolo oneroso” ; b) dai documenti prodotti dalla convenuta ( da n. 4 a n. 13 ), dai quali si evince che, a fronte delle richieste di finanziamento infruttifero, il Gigante ha risposto annunciando di accogliere la richiesta precisando che “il finanziamento non produrrà interessi ma dovrà esserci restituito via via che le somme prestate eccederanno le Vostre esigenze o comunque quando vi chiederemo la restituzione per nostre esigenze finanziarie, in tal caso vi preavviseremo con congruo anticipo”, e che le controllate hanno assunto esplicitamente, in relazione a tali finanziamenti , l’impegno “alla restituzione secondo le indicazioni da voi forniteci” . Dal che si ricava che trattasi di prestiti senza interessi con obbligo di restituzione, come confermato dal fatto che, in concreto, v’è stata una progressiva riduzione di detti finanziamenti in virtú di restituzioni effettuate dalle debitrici (cfr. doc. n. 5,8, 9, 10 13; nonché tabelle contenute nella nota integrativa al bilancio pag. 13 ); particolarmente significativi i documenti che mostrano l’effettivo ridursi dei finanziamenti, già citati, in virtú di costanti restituzioni di somme che nell’esercizio 2003/2004 sono state 11 per Giovanni Villa s.r.l., 18 per Prezzo Club s.r.l., 12 per Sangrato s.r.l.; addirittura uno di essi, quello in favore di Porta della Brianza, si è azzerato, come avvenuto in passato per altre controllate. Prive di significato concludente ai fini di qualificare il titolo degli esborsi in questione come preteso dalle attrici ( ovvero quello di apporto capitale), appare poi il fatto, dalle stesse evidenziato, che fosse stato precisato dalla controllante, al momento della comunicazione della decisione di erogare i finanziamenti, che “il finanziamento non produrrà interessi”; infatti, come esattamente rileva la convenuta, tale precisazione sarebbe stata inutile se il “finanziamento” avesse voluto essere a titolo di “apporto”, atteso che non potrebbe ipotizzarsi che un apporto produca interessi. Tanto piú incongruente apparirebbe, nell’ottica dell’”apporto”, il fatto che le parti abbiano esplicitato l’obbligo di restituzione, potendo semmai , il versamento in conto capitale confluire in una riserva distribuibile previa delibera dell’assemblea ex art. 2433.c.c.; altrettanto ininfluente è il fatto che non siano previste garanzie, visto che Il Gigante controlla al 100% le società finanziate, e d è quindi per ciò stesso nella condizione di evitare che il patrimonio delle debitrici non venga sottratto alla sua funzione di garanzia generica per i crediti che vanta; né, infine può considerarsi significativa l’assenza di un fondo di svalutazione, poiché la svalutazione va effettuata solo a fronte di incertezze sulla recuperabilità della somma, e non vale certo a qualificare la natura della posta iscritta, anche in considerazione del fatto che uguale criterio di valutazione varrebbe per la voce “partecipazioni”. Il Collegio, quindi ritiene che tali finanziamenti della capogruppo, ben possano essere considerati prestiti, concessi alle controllate in corrispondenza di esigenze contingenti legate all’avvio dell’attività, da recuperare anche gradualmente in ragione delle disponibilità, via via maggiori, delle beneficiarie, e che pertanto nessuna scorrettezza possa ravvisarsi nella iscrizione in bilancio contestata. Del resto non può farsi a meno di notare, anche perché sul punto le attrici hanno replicato in meniera piuttosto evasiva, appellandosi al solo fatto che in questo giudizio si discute dei soli bilanci del Gigante, che Zarfin stessa ha ricevuto dalla sua controllante, Supermarkets Italiani nerll’esercizio 1999 un finanziamneto per 337.000.000.000 di lire, che, pur a fronte di un capitale sociale di 20.000.0000, ha considerato “prestito senza interessi” e non “apporto di capitale”, avendolo iscritto infatti in bilancio come debito verso la controllante senza contabilizzare alcun interesse passivo ( doc. n. 14 fasc conv). Sicchè, a prescindere dall’interesse ad agire in senso stretto di cui nessuno dubita, sfugge la logica di una censura che, stante i criteri di contabilizzazione e la politica gestionale seguita dalla stessa Zarfin, quantomeno non pare coerente. Va ancora considerato un ulteriore motivo di censura, poiché le attrici ( che hanno invero rinunciato, almeno nella conclusionale, a censurare tali operazioni sostenendone come in precedenti impugnative la irragionevolezza) insistono a ritenere che l’ iscrizione in bilancio delle operazioni in argomento come “crediti verso controllate”, violerebbe il principio di chiarezza del bilancio, e ciò a prescindere dal fatto che il risultato quantitativo dell’esercizio non varierebbe, rientrando tanto la voce “crediti verso controllate” che quella “partecipazioni in imprese controllate” nella classe delle immobilizzazioni finanziarie. Il Tribunale ribadisce di non condividere neppure questa censura poiché anche in relazione all’interesse all’adeguata informazione dei terzi che il bilancio deve comunque perseguire, al di là della sua correttezza e veridicità, le specificazione contenute nella relazione sul bilancio e della nota integrativa, che sopra si sono richiamate, sono del tutto idonee a rappresentare in maniera completa ed esauriente che la società ha effettuato finanziamenti gratuiti, dai quali deriva un diritto alla restituzione, e che tali finanziamenti le vengono in effetti progressivamente restituiti. B) Abuso di maggioranza nella distribuzione degli utili. Contrarietà di tale distribuzione all’art. 23 dello statuto. Le attrici lamentano eccesso o abuso di potere della maggioranza per l’ingiustificato accontonamento a riserva di consistente parte dell’utile di esercizio, finalizzato ad impedire la giusta remunerazione del capitale da loro impegnato. In data 27.8.2004 l’assemblea de Il Gigante ha approvato il bilancio chiuso al 29.2.2004 dal quale è emerso un utile d’esercizio di euro 29.859.758,80; di questo utile, euro 4.050.000,00 sono stati distribuiti agli azionisti a titolo di dividendo, in ragione di 1 euro per azione; euro 859.025,36 sono stati destinati alla riserva ammortamenti anticipati ex art. 67 DPR 917/86; 197.195,17 euro sono andati al C.d.A; ed infine 24.753.538,27 euro sono stati destinati a riserva straordinaria. Lamentano le attrici che siano stati distribuiti dividendi sostanzialmente dello stesso ammontare di quelli distribuiti al termine dell’esercizio precedente quando l’utile era stato 1/3 di quello dell’esercizio in esame; e che tale distribuzione ( pari la 13,72% dell’utile ) non può considerarsi né equa né ragionevole in considerazione dello scopo del contratto sociale che “postula per legge e per la efficiente prassi societaria, che l’esercizio in comune di un’attività economica sia finalizzata alla divisione degli utili”. Hanno osservato che solo l’equa distribuzione degli utili sociali è determinante per valorizzare e stabilizzare la partecipazione azionaria del socio, e che la valutazione della legittimità della distribuzione in concreto decisa, non può basarsi sulla verifica della sussistenza di una volontà soggettiva del socio di maggioranza di nuocere specificamente al socio di minoranza – interpretazione dell’ “abuso di maggioranza” che dovrebbe ritenersi consegnato alla passata storia del diritto - bensì sulla verifica di conformità o meno dell’operato della maggioranza al principio di buona e fede e correttezza nell’esecuzione del contratto. Ciò nonostante le attrici hanno comunque sottolineato che “i due ultimi bilanci hanno disvelato…la trama gravemente antigiuridica ordita nei precedenti esercizi mediante illegittime destinazioni di una grande quantità degli utili di esercizio a riserva straordinaria, perciò stesso l’illegittimità – iniquità della politica di distribuzione dei dividendi intrapresa da Il Gigante sin dalla chiusura dell’esercizio al febbraio 1999”, sintomatica di “una provocatoria ed iniqua remunerazione del capitale investito nel Gigante dalle società Zarfin e Cornice”. Hanno rappresentato, a questo proposito, che Il Gigante dapprima, nel dicembre 2003, aveva deciso la distribuzione straordinaria di euro 20.050.000 traendola dalla “riserva straordinaria” in quel momento ammontante ad euro 31.137.137, così sostanzialmente “confessando” - in mancanza di alcuna motivazione se non quella, a loro dire inconsistente, relativa al venir meno di un programmato investimento - che gli accantonamenti effettuati in precedenza, attraverso distribuzione limitate di utili, non erano giustificati da alcuna esigenza. Successivamente nell’agosto 2004 aveva deliberato l’accantonamento di una ingente riserva straordinaria di euro 24.753.538,27, a fronte di motivazioni - sopravvenuta necessità di finanziare la controllata Tiziano s.r.l., per la realizzazione di un ipermercato di 8000 mq, e di realizzare un centro commerciale vicino a Mantova - che, a loro dire, sarebbero fondate su elementi di prova inconsistenti, e che comunque apparirebbero in contraddizione con le dichiarazioni che avevano giustificato pochi mesi prima il prelievo straordinario ( cfr. mem. concl att. pag. 13 e 14). Hanno infine evidenziato che l’accantonamento a riserva oltre il 20% sarebbero contrario all’art.23 dello statuto, mantenuto immutato dall’assemblea nonostante altre modifiche statutarie sempre con la delibera impugnata. Ciò premesso e venendo all’esame del fondamento della censura, il Tribunale evidenzia di condividere l’opinione della difesa delle attrici a proposito della centralità del principio di buona fede tanto in sede di interpretazione che di esecuzione del contratto, compreso senza dubbio il contratto sociale; e quindi è ben consapevole della rilevanza di detta clausola generale quando si tratti di individuare in capo a uno dei contraenti obblighi di salvaguardia dell’utilità che lo strumento negoziale prescelto ha per l’ altro contraente, pur nei limiti in cui ciò non comporti per lo stesso un apprezzabile sacrificio; e ciò al di là di specifici obblighi contrattuali e del generale divieto del neminem ledere. Dal contratto, invero, deriva in virtú dell’ art. 1375 c.c., un impegno di cooperazione che impone a ciascuna parte di tenere quei comportamenti che a prescindere dagli obblighi espressamente assunti con il contratto stesso, siano idonei a soddisfare le legittime aspettative dell’altra parte ( così Cass. 9.3.1991 n. 2053). Ciò detto non ignora né trascura gli aspetti problematici del ricorrere alle clausole generali, specie in contesti ordinamentali ove la certezza del diritto è realizzata attraverso il principio di legalità, ed il Giudice, pur interprete attento e consapevole, non deve né invadere il campo del legislatore né, trattandosi di contratto sociale, il campo dell’organo gestorio. In questa problematica prospettiva, la giurisprudenza ha elaborato criteri di valutazione della legittimità di comportamenti delle parti di un contratto di società; e tra questi anche quel concetto di “abuso del diritto di maggioranza ai danni della minoranza” in virtú del quale può dirsi “illegittima” perché abusiva e contraria a buona fede, quella condotta suscettibile di ledere l’interesse del socio di minoranza che sia altresì estranea all’interesse della società, e dunque riveli per ciò stesso l’intento abusivo e fraudolento. Tale concezione dell’abuso - che al Tribunale pare tuttora valida diversamente dalle attrici che hanno sostenuto che andrebbe archiviata – si comprende e si giustifica alla luce del fatto che nel contratto di società, oltre all’interesse dei soci, dunque della maggioranza e della minoranza, c’è anche quello della società, e dei terzi verso i quali è chiamata l’impresa stessa a rispondere; sicchè la verifica dell’esercizio abusivo, contrario a buona fede, di un diritto che derivi da un siffatto contratto, non può prescindere dal considerare come l’esercizio del diritto in concreto si sia atteggiato in relazione a tutti gli interessi in gioco. Si potrebbe, così, sostenere che, in astratto, la delibera abusiva non debba necessariamente rivelare la sua deviazione rispetto agli scopi sociali, dunque ammettere l’esistenza di un abuso della maggioranza anche a fronte di una delibera neutra rispetto all’interesse sociale; ma certo difficilmente potrebbe giungersi a muovere detta censura di fronte ad una delibera che, pur contraria all’interesse della minoranza, sia idonea a realizzare un interesse sociale (come nell’ipotesi di incremento dei mezzi finanziari utilizzabili nell’attività imprenditoriale a scapito dei dividendi ). A fronte quindi di un contratto di società, ovvero di una comunione di interessi che ha per oggetto l’esercizio di un’attività economica, e per fine la divisione degli utili, in cui principio fisiologico di funzionamento è la subordinazione della volontà del singolo a quella della maggioranza, se una delibera assembleare sia impugnata per aver prodotto un danno alla posizione dei soci di minoranza, bisognerà verificare che tipo di interesse la maggioranza ha in concreto perseguito: qualora l’interesse perseguito dovesse risultare extasociale non occoreranno altri elementi per definire abusiva la delibera; qualora invece dovesse risultare la reale compatibilità tra l’interesse perseguito e quello della società, l’onere della prova dell’abuso si estenderà alla dimostrazione che l’interesse sociale era comunque perseguibile parimenti per altra via, e il carattere fraudolento della delibera medesima. Orbene, stanti le censure mosse nella specie alla delibera impugnata, non pare al Collegio che le attrici abbiano assolto l’onere probatorio come sopra delineato che sulle stesse incombeva. Già nelle precedenti pronunce ( ed in quella della Corte d’Appello che ha confermato la prima di esse) il Tribunale aveva evidenziato che, considerando gli esercizi precedenti a quello in esame, si evince che, a fronte del continuo potenziamento dei mezzi propri funzionale ad una politica gestionale di espansione nel mercato, Il Gigante ha anche distribuito ai soci utili in costante crescita; ed infatti da una distribuzione di lire 400 per azione ( a fronte di un utile di lire 8.136 milioni) del 1997/98, quando ancora le attrici non parteciparono, si è passati alla distribuzione di lire 800 per azione negli esercizi 1998/1999 ( utile lire 21.458 milioni) e 1999/2000 ( utile lire 7.437 milioni) ; quindi a quella di lire 950 nel 2000/2001 ( utile lire 5.716 milioni) ; di euro 0,6, pari a lire 1.161, nel 2001/2002 ( utile di lire 7.615 milioni) ; di euro 1, pari a lire 1936,27, nel 2002 /2003 ( utile di euro 9.874.422 ). L’incremento del dividendo, è stato in media piú elevato dell’incremento degli utili. Inoltre nel dicembre 2003 ( il 29.12.2003) l’assemblea ha deliberato un’ingente distribuzione straordinaria di dividendi ( 5 euro per azione per complessivi euro 20.250.000 ) al fine di consentire ai soci tutti di poter usufruire della piú favorevole tassazione dei dividendi, frutto della normativa vigente sino alla chiusura dell’esercizio in corso al 31.12.2003 ( il regime fiscale successivo imponeva la tassazione nella misura del 5% dell’utile conseguito). All’esito di detta distribuzione straordinaria, resa possibile dalla distribuzione straordinaria a titolo di dividendo di riserve di analogo ammontare ( euro 20.000.000) da parte di una società controllata totalitariamente, sul piano contabile è risultata la riduzione nello stato patrimoniale del patrimonio netto, per effetto della distribuzione della riserva; nonché l’incasso come dividendo straordinario erogato da un controllata di euro 20.000.000: l’esercizio del 2003/2004 quindi si è chiuso con un utile netto di 29.800.000 di euro, 9.800.000 dei quali frutto della gestione dell’esercizio, e 20.000.000 di un dividendo straordinario. Per tale ragione l’assemblea ha deciso di distribuire dividendi solo in relazione all’utile corrispondente al risultato effettivo della gestione, escluso quello frutto della percezione straordinaria di dividendo, poiché quest’ultimo, transitando sul conto economico era andato ad incrementare il patrimonio netto, senza che la corrispondente distribuzione della riserva a titolo di dividendi avesse potuto invece decurtarlo non rappresentando un costo; e di ricostituire poi la riserva ridotta per la distribuzione straordinaria di dividendi, in considerazione di nuovi progetti di investimento, di cui è dato ampio conto nella relazione sulla gestione della capogruppo ( ed offerta prova documentale sub doc. n. 20, 21, 22). Pertanto anche l’ultima delle decisioni in tema di destinazione dell’utile di esercizio contestata dalle attrici appare, tutt’altro che confusa o oscura, bensì in linea con la politica fin qui perseguita dal Gigante di equilibrio tra l’interesse della società allo sviluppo ed espansione dell’impresa (attuata attraverso i finanziamenti alle controllate di cui s’è ampiamente discusso poco sopra), e l’interesse dei soci alla remunerazione periodica del loro apporto. E’ ben vero che in soci in astratto avrebbero potuto godere di dividendi piú elevati, tuttavia nella scelta gestionale della maggioranza, stanti i limiti in cui un sindacato del genere è da ritenersi ammissibile, non si ravvisa né nel suo complesso né con riferimento all’esercizio in questione, alcuna irragionevolezza o intento specifico di comprimere il diritto agli utili della minoranza; e tantomeno l’intento di perseguire un interesse contrario, estraneo o anche solo neutro rispetto a quello della società, “essendo per la società preferibile alla distribuzione tra i soci degli utili realizzati, l’incremento delle proprie risorse, conseguibile in particolare mediante il potenziamento delle riserve” ( cfr. sent. Corte d’Appello di Milano 31.12.2004 ). Se da un lato non esiste un diritto dei soci all’utile netto d’esercizio sino a che non sia intervenuta una delibera assembleare circa la destinazione dell’utile stesso a dividendo, dall’altro c’è certamente l’aspettativa legittima dei soci di minoranza ad un compenso adeguato all’investimento effettuato, ovvero equo e ragionevole, che non comprima i valore della sua partecipazione; ma nella specie, il concreto atteggiarsi della politica dei dividendi, le ragioni gestionali ad essa sottese, i risultati in termini di profitto per la società, e quindi per tutti i soci, cui essi hanno condotto, (dal 1998 al 2004 il patrimonio netto si è incrementato del 116%, con un incremento annuo del 19% ), non consentono in alcun modo di qualificare arbitraria, iniqua e irragionevole, la distribuzione dei dividendi in effetti realizzata. Neppure può dirsi in alcun modo provato che la strategia di rafforzamento patrimoniale perseguita dal Gigante in luogo della strategia di distribuzione di dividendi piú elevati, abbia pregiudicato la possibilità dell’azionista di minoranza di monetizzare il maggior valore conseguito dalle azioni, ed, anzi, risulta che Zarfin, dopo il primo acquisto nel 1998 di n. 1.000.105 azioni, ha poi acquistato nel 2001 - quando già erano in corso le impugnative del bilancio per gli stessi motivi qui esaminati – altre n. 14.033 azioni. Il Tribunale, infine, ritiene infondato anche l’ultimo degli argomenti di censura, introdotto con gli scritti conclusionali, e fondato sulla asserita violazione dell’art. 23 dello statuto, la cui lettura complessiva, come esattamente rilevato dalla convenuta, induce a ritenere che l’indicazione del 20% valga ad individuare la percentuale minima e non certo la massima dell’utile accantonabile: la lettera d) dell’articolo, infatti, aggiunge che “l’ulteriore rimanenza in tutto o in parte ai soci o per altre destinazioni secondo la deliberazione dell’assemblea” . Stante la completa soccombenza delle attrici le stesse vanno condannate alla rifusione delle spese di lite nei confronti della convenuta; dette spese si liquidano, tenuto conto della tariffa professionale e della nota spese, in complessivi euro 29.483,63 di cui euro 2285 per diritti, 23.800 per onorari 138 per spese imponibili, euro 3260,63 per spese generali 12,5%, oltre CPA e Iva come per legge Il Tribunale di Milano, in composizione collegiale così decide: L’impugnazione proposta Zarfin s.r.l. e Cornice s.r.l. relativamente alle delibere 27.8.2004 di approvazione del bilancio al 29.2.2004 di Grandi Magazzini e Supermercati Il Gigante s.p.a.; Zarfin s.r.l. e Cornice s.r.l. in solido fra loro a rifondere a Grandi Magazzini e Supermercati Il Gigante s.p.a le spese di lite liquidate in complessivi euro 29.483,63 oltre CPA e Iva come per legge. Milano 29.9.2005. Il Giudice Estensore Il Presidente dott.ssa Alessandra Dal Moro dott. Raffaele Fulvio D’Isa |